La Chiesa di Francesco conquista i ragazzi del Sudamerica

24/07/2013 

 

Giovani in festa a Copabana

GIOVANI IN FESTA A COPABANA

Le nuove generazioni del Continente lo considerano come una guida spirituale, sociale e culturale

GIACOMO GALEAZZI
RIO DE JANEIRO

È un caso che la prima Gmg di Francesco stia avvenendo in America Latina. Un caso che assume però il significato di una profezia. Dopo la visita a Lampedusa, nel cuore del Mediterraneo ferito, lo sbarco in Sudamerica, il continente dove povertà e disagi sociali vanno di pari passo. Questo è il mondo che il Papa intende cambiare dal di dentro.

A riempire le strade di Rio è la Chiesa chiamata, come scrisse Bergoglio stesso nel documento finale dell'incontro coi vescovi sudamericani avvenuto ad Aparecida nel 2007, ad abbandonare «tutte le strutture caduche che non favoriscono la trasmissione della fede». È una chiamata a «uscire fuori» quella di Bergoglio, a fare sì che la Chiesa non sia più autoreferenziale ma abbandoni le proprie certezze per farsi ultima fra gli ultimi. Si dice che il testo di Aparecida fu ciò che di fatto lo lanciò al pontificato. Ed è proprio così, se è vero che durante le Congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave egli parlò della necessità che la Chiesa arrivi ovunque, financo in quelle periferie esistenziali dove l’uomo è solo con se stesso e senza Dio. Uscire da se stessi significa prendere su di sé tutti i problemi dell’uomo.

Era questa la spinta teorizzata dal meglio della teologia della liberazione che proprio nel continente sudamericano è esplosa negli anni dopo il Concilio. È la stessa spinta che il Papa vuole i giovani facciano propria: il mondo va riportato a Cristo, certo, e insieme va cambiato sporcandosi le mani, come fece San Francesco, l’alter Christus, secoli prima l’avvento al soglio di Pietro del primo Papa argentino

Disse Bergoglio sei anni fa ad Aparecida: «Celebrare l’eucaristia insieme al popolo è diverso che celebrarla tra noi vescovi separatamente. Questo ci ha dato vivo il senso dell’appartenenza alla nostra gente, della Chiesa che cammina come popolo di Dio, di noi vescovi come suoi servitori». Il documento finale di Aparecida, spiegava il futuro Papa, «per la prima volta» non partiva «da un testo base preconfezionato ma da un dialogo aperto», per «ricevere quello che veniva dal basso».

 
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